Rabdomiolisi severa associata ad assunzione di atorvastatina, amlodipina e ticagrelor

A cura di Alessandra Russo. Specialista in Tossicologia Medica. Messina

 Il caso clinico (1)
Una donna maltese di 74 anni fu ricoverata a causa di collasso preceduto da diversi giorni di senso di debolezza generalizzata.
La paziente era affetta da infarto miocardio con sopraslivellamento del tratto ST, ipertensione, depressione, osteoartrite che ha richiesto la sostituzione totale dell’anca ed osteoporosi.
Il peso era stabile (51 kg con un indice di massa corporea pari a 22,5).
La donna non era fumatrice e beveva in media 10 ml di alcool al giorno.
Al momento del ricovero la paziente era in trattamento con amlodipina, atorvastatina, ticagrelor, metoprololo, aspirina, amitriptilina, perindopril e poi, settimanalmente, risedronato. Per diversi anni era stata in trattamento con un prodotto a base di amlodipina ed atorvastatina.
Due mesi e mezzo prima del ricovero, le era stato diagnosticato un infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST che venne trattato con farmaci in quanto non ebbe successo l’intervento coronarico percutaneo eseguito per riaprire l’arteria bloccata. Per tale motivo la paziente assumeva amlodipina + atorvastatina (dose aumentata da 5/20 mg a 5/80 mg) e, come antiaggregante piastrinico, aspirina a basse dosi oltre ticagrelor (90 mg BID) secondo le linee guida.
 
Al pronto soccorso, la paziente era ipotesa e la sua diuresi era molto limitata, per cui le furono somministrati 4 litri di liquidi e noradrenalina.
La diagnosi iniziale fu di shock settico ed insufficienza renale acuta (creatinina 404 μmol/L; azotemia 17 mmol/L). Inoltre era presente una lieve neutrofilia.
La radiografia al torace e la TAC dell’encefalo e della colonna cervicale non riportarono nulla di significativo.
La paziente fu trasferita nell’unità di terapia intensiva di un altro ospedale.
Al momento del trasferimento di ospedale, la paziente sembrava confusa, ma collaborativa.
Muoveva i quattro arti. La frequenza cardiaca era 86 battiti/minuti, la pressione 102/42 mmHg, gli atti respiratori 15/minuto e la temperatura 35,7°C.
La paziente fu trattata con 10 microgrammi di noradrenalina al minuto ed era ben ossigenata con 2 litri di ossigeno al minuto.
Fu riscontrata un’alterazione della funzionalità epatica e di quella renale e del profilo della coagulazione. La TAC e l’ecografia addominale rivelarono la presenza di una colecisti ispessita con calcoli e liquido pericolecistico e liquido libero nell’addome.
Fu fatta diagnosi di colecistite acuta con insufficienza multiorgano.
I sintomi addominali diminuirono e fu iniziata l’emodialisi a causa del peggioramento dell’acidosi metabolica e dell’insufficienza renale acuta anurica.
Il giorno seguente, la paziente sviluppò un peggioramento del dolore muscolare con senso di debolezza progressiva agli arti superiori ed inferiori con riduzione dei riflessi tendinei.
I livelli di creatina-chinasi (CK) aumentarono notevolmente quasi fino a 100.000 UI/L con un progressivo deterioramento della funzionalità epatica.
Effettuando ulteriori indagini, furono escluse altre diagnosi tra cui sepsi, emolisi, vasculite, patologie tiroidee e tossicità da paracetamolo.
Fu sospettata una miosite autoimmunitaria o una rabdomiolisi associata a statine.
Una risonanza magnetica del sistema muscolo-scheletrico rivelò la presenza di caratteristiche compatibili con miosite prossimale degli arti superiori ed inferiori. Venne effettuata anche una biopsia muscolare guidata dalla risonanza.
I livelli di CK erano persistentemente elevati con peggioramento della funzionalità epatica; si sviluppò una coagulopatia intravascolare disseminata che determinò epistassi, sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore ed emorragie subcutanee. Inoltre, era ancora presente una moderata neutrofilia ed un modesto aumento della proteina C reattiva.
La coagulopatia intravascolare disseminata è stata trattata con piastrine e fattori di coagulazione e con vitamina K.
A causa dell’ulteriore deterioramento dello stato della paziente, in attesa dei risultati della biopsia, sospettando un’eziologia autoimmunitaria, fu effettuato un trattamento con metilprednisolone per via endovenosa (1 grammo/die per 3 giorni consecutivi)
La paziente era più affaticata ed era diventata sonnolente ed ipossica, per cui si rese necessaria l’intubazione endotracheale e la ventilazione meccanica.
La biopsia muscolare rivelò la presenza di estese necrosi del muscolo compatibile con un quadro di miosite necrotizzante indotta da una tossina.
La condizioni della paziente gradualmente migliorarono e i livelli di CK progressivamente tornarono nel range della norma. Fu difficile rendere la paziente indipendente dalla ventilazione meccanica e successivamente fu effettuata una tracheostomia percutanea.
La funzionalità renale ed epatica migliorarono gradualmente e fu sospesa la dialisi.
La biopsia renale confermò la necrosi tubulare acuta.
Gradualmente la paziente riuscì ad essere indipendente dalla ventilazione meccanica e venne rimosso il tubo della tracheostomia.
La donna venne trasferita in un reparto di medicina e in seguito in un centro di riabilitazione.
 
In sintesi
Questo caso evidenzia che, quando un paziente viene trattato con alte dosi di atorvastatina insieme a ticagrelor, aumenta il rischio di sviluppare miotossicità grave. Inoltre, l’utilizzo di terapie a base di inibitori del CYP3A (ticagrelor ed amlodipina) aumenta ulteriormente il rischio di rabdomiolisi associato a statine.
 
Bibliografia

  1. Banakh I, et al. Severe rhabdomyolysis due to presumed drug interactions between atorvastatin with amlodipine and ticagrelor. Case Rep Crit Care 2017; 2017: 3801819.

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Ultimo aggiornamento: 21 luglio 2017