Alterazione della coagulazione in seguito all’uso improprio del trifoglio rosso (Trifolium pratense): un caso clinico

A cura di Annabella Vitalone. Dipartimento Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”. Sapienza Università di Roma. Gruppo di Lavoro di Farmacognosia e Fitoterapia della Società Italiana di Farmacologia.
 
[riferito da Karimpour-Reihan S, Firuzei E, Khosravi M, Abbaszadeh M. Coagulation disorder following Red Clover (TrifoliumPratense) misuse: a case report. Advanced Journal of Emergency Medicine 2018; 2: e* (http://ajem.tums.ac.ir/index.php/ajem/article/view/30)]
 
Una crescente varietà di integratori alimentari, prodotti erboristici e farmaci da banco contenenti piante medicinali viene assunta dai pazienti per motivi diversi. Gli utilizzatori sono inconsapevoli del fatto che questi rimedi auto-prescritti possano essere responsabili di interazioni con cibo e con farmaci ed indurre effetti avversi (non sempre prevedibili) che possono sfociare in importanti conseguenze.
 
Il trifoglio rosso (Trifolium pratense, Fam. Fabaceae) è un legume tradizionalmente utilizzato per il trattamento di menopausa, ulcere cutanee, tosse, mal di gola, febbre, polmonite, meningite, diarrea e perdita di capelli. Le sommità fiorite di tale pianta contengono numerose sostanze tra cui: tannini, isoflavoni, polisaccaridi, saponine, acido salicilico, cumarine, ecc. [1]. Queste ultime sembrano aumentare gli effetti degli anticoagulanti e degli agenti antipiastrinici.
In Iran, luogo da cui proviene la segnalazione del caso di seguito riportato, il trifoglio è usato sotto forma di tisana spesso in associazione all’erba medica per aumentare la conta piastrinica. Evidenze scientifiche in tal senso non sono tuttavia disponibili, ma vi sono informazioni che mettono in guardia su rischi potenziali di sanguinamento indotti dal consumo di trifoglio rosso. I casi clinici di emorragia ad esso attribuibili sono però, ad oggi, limitati.
 
Gli autori di questa segnalazione riportano il caso di un disturbo emorragico in una donna di 28 anni, che assumeva trifoglio rosso. Questa paziente è arrivata al pronto soccorso lamentando ematuria. Ha dichiarato di assumere (su autoprescrizione) 5-6 tazze al giorno di un infuso a base di alfalfa (erba medica) e trifoglio rosso. Dopo 2 settimane di assunzione si sono verificati alcuni episodi di epistassi e si sono sviluppate delle ecchimosi in corrispondenza degli arti. Le ecchimosi ed una lieve emorragia dalle labbra sono state confermate dall’esame obiettivo. Gli episodi di sanguinamento ed epistassi che ha avuto sono stati trattati con plasma fresco congelato e vitamina K.
 
La storia clinica della paziente evidenzia una diagnosi di lupus eritematoso sistemico (LES), porpora trombocitopenica idiopatica e piastrinopenia. La paziente era in trattamento con prednisolone, ma non aveva mai preso anticoagulanti.
Gli esami ematochimici hanno evidenziato: tempo di protrombina (PT) >37 secondi, tempo parziale di tromboplastina attivata (aPTT) >70 secondi e rapporto normalizzato internazionale (INR)>7. Altri esami di laboratorio hanno mostrato i seguenti risultati: conta dei globuli bianchi 9,80 × 109/ml, emoglobina 11,8 g/dl e conta piastrinica 406 × 109/μl. Il livello dei fattori di coagulazione era il seguente: fattore II 18% (range normale: 70-120); fattore V 94% (range normale: 60-130); fattore VII <1% (range normale: 55-190) e fattore X 7% (range normale: 70-120). Il livello di fibrinogeno era di 303 mg/dl (200-400). I risultati dei test di funzionalità epatica e renale erano normali.
Conseguentemente il dubbio principale, compatibile con il quadro clinico soprariportato, era quello di avvelenamento indotto da un antagonista della vitamina K. Tale sospetto è stata poi confermato dal riscontro di warfarin nel sangue della paziente, pur non avendo la stessa mai assunto tale farmaco. Inoltre, ad ulteriore conferma, il trattamento intrapreso (i.e., plasma fresco congelato e vitamina K) ha bloccato i processi emorragici e ha riportato ai range normali tutti i parametri di laboratorio. La paziente è stata così dimessa e le è stato consigliato di non usare integratori a base di piante medicinali, senza supervisione medica.
 
Commento
Identificare le cause dei disturbi della coagulazione che si verificano nei pazienti potrebbe essere difficile. Non sempre si verifica l’esposizione a piante medicinali e l’evento clinico iniziale non si presenta in modo univoco, il che può influire sulla capacità del medico di fare la diagnosi. Altre considerazioni diagnostiche in un paziente affetto da coagulopatia di origine sconosciuta includono, ad esempio: esposizione a warfarin o super-warfarin, coagulazione intravascolare disseminata, malassorbimento di vitamina K.
In questo studio non risulta affatto chiaro il motivo dell’assunzione del trifoglio rosso, tra l’altro in associazione ad alfalfa, da parte di una ragazza di 28 anni. Tale informazione avrebbe forse dovuto rappresentare il “primum movens” dello studio, ma sono state comunque condotte indagini sufficientemente utili, a procedere quantomeno per esclusione diagnostica.
Ad esempio, il ruolo potenzialmente esercitato dal LES quale causa dell’innalzamento del PTT e del sanguinamento è stato scartato grazie alla valutazione di altri test di laboratorio.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per le epatopatie (eventualmente presenti), quali altra importante causa di incremento del PT, dell’INR e del decremento di fattori della coagulazione dipendenti dalla vitamina K. Anche tale causa è stata scartata, poiché nella paziente oggetto della segnalazione i livelli degli enzimi epatici, la concentrazione dell’albumina serica ed il fattore V di coagulazione (sintetizzato appunto dal fegato) erano tutti normali.
Allo stesso modo anche l’elevato consumo di fattori della coagulazione che può verificarsi come causa di coagulazione intravascolare disseminata è stato scartato, poiché nella paziente i livelli del fattore VIII erano elevati. La produzione di tale fattore della coagulazione è indipendente dalla vitamina K; inoltre, esso non è prodotto dagli epatociti e viene quindi generalmente utilizzato, nel caso i suoi valori siano bassi, per validare la diagnosi di coagulazione intravascolare disseminata [2].
 
Va tenuto tuttavia in considerazione che gli autori del presente lavoro non menzionano, né tanto meno scendono nel merito di particolari importanti, come ad esempio quelli relativi al prodotto e, nello specifico, i seguenti:

  1. Che tipo di prodotto era quello assunto? Si fa riferimento ad un “herbal tea”, ma era preconfezionato o allo stato sfuso? Dove era stato acquistato? Il prodotto è stato analizzato? Queste sono domande importanti da porsi sempre nella valutazione della qualità di un prodotto e nell’eventuale esclusione di contaminazioni, adulterazioni, sofisticazioni, ecc.
    Il dosaggio ottimale (in termini di sicurezza ed efficacia) di trifoglio rosso, inoltre, non è neanche noto, poiché, non essendo conosciuto un solo principio attivo a cui riferire la sua attività clinica (non solo riferita alla menopausa), la standardizzazione non viene generalmente condotta [3].
  1. La presenza di alfalfa, nome vernacolare di Medicago sativa (anche se non specificato), non viene affatto discussa: perché? Tale pianta medicinale è molto ricca di vitamina K e, anche se gli effetti biologici avrebbero dovuti essere opposti a quelli presentati nel case report, appare quanto mai strana l’associazione al Trifolium pratense, proposta nell’herbal tea.
    E’ infatti noto da anni (almeno dal punto di vista teorico) che, data la presenza di composti cumarinici e simil-cumarinici riscontrati nel trifoglio rosso, tale pianta possa essere responsabile di aumento del tempo di sanguinamento e conseguente incremento dell’INR [3].
    Probabilmente, pur essendo questo uno dei pochi riscontri clinici di interferenza nei processi di coagulazione esercitati dal trifoglio rosso, la valutazione della sicurezza di tale pianta è stata troppo spesso rivolta alla sola possibile induzione di processi tumorali (endometriali, mammari, ecc.), dovuta alle componenti fitoestrogeniche della pianta [4].

Gli autori concludono che questo caso clinico ha evidenziato la probabile tossicità di composti simili al warfarin, contenuti nel trifoglio rosso, che, a causa anche di un uso improprio dello stesso (i.e., 5-6 tazze/die per due settimane di assunzione), sono stati responsabili di un’importante coagulopatia.
Pertanto, quando in un paziente viene riscontrata una coagulopatia emorragica ed un prolungamento dei valori di PT e aPTT di origine sconosciuta, bisognerebbe valutare il ruolo di un potenziale avvelenamento indotto da composti simili al warfarin.
Alcune piante medicinali sono potenziali fonti naturali di cumarine, responsabili di un aumento dell’INR e del sanguinamento.
È importante che i medici prescrittori siano attenti al possibile svantaggio di alcuni prodotti contenenti piante e delle probabili interazioni tra queste e farmaci e/o alimenti.
Non meno importante è considerare la qualità, la composizione e l’eventuale standardizzazione del prodotto oggetto di segnalazione, poiché prima di ascrivere la coagulopatia alle cumarine fisiologicamente presenti nel trifoglio rosso, ne andrebbe dosata la quantità nel prodotto oggetto di segnalazione e la compatibilità con l’insorgenza della reazione avversa.

Bibliografia

  1. Abebe W. Herbal medication: potential for adverse interactions with analgesic drugs. J Clin Pharm Ther 2002; 27: 391-401.
  2. Drews RE. Approach to the adult patient with a bleeding diathesis. UptoDate 2011. Disponibile presso:http://cursoenarm.net/UPTODATE/contents/mobipreview.htm?10/53/11089/contributor-disclosure. Ultimo accesso: 15 febbraio 2017.
  3. Nelsen J, Ulbricht C, Barrette EP, Sollars D, Tsourounis C, Rogers A, Basch S, Hashmi S, Bent S, Basch E. Red clover (Trifolium pratense) monograph: a clinical decision support tool. J Herb Pharmacother 2002; 2: 49-72.
  4. National Center for Complementary and Alternative Medicine (NIH) Red clover. Disponibile presso: https://nccih.nih.gov/health/redclover/ataglance.htm#mind. Ultimo Accesso 16 febbraio 2018.
Ultimo aggiornamento: 27 febbraio 2018