Epatite autoimmune associata al consumo di curcuma

A cura di Silvia Di Giacomo, Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”, Sapienza – Università di Roma. Gruppo di lavoro di Farmacognosia, Fitoterapia e Nutraceutica della Società Italiana di Farmacologia.

 

(riferito da Lee BS, Bhatia T, Chaya CT, Wen R, Taira MT, Lim BS. Autoimmune Hepatitis Associated With Turmeric Consumption. ACG Case Rep J 2020; 7: e00320)

 

Gli integratori alimentari a base di curcuma (Curcuma longa L., Fam. Zingiberaceae) sono tra i più venduti al mondo grazie alle numerose proprietà attribuite a questa pianta medicinale (e.g. antinfiammatorie, antiossidanti, neuroprotettive) (1).

Tradizionalmente, la curcuma viene utilizzata nella dispepsia per le sue proprietà coleretico-colagoghe.

Tuttavia, recentemente, sono stati riportati diversi casi di epatotossicità in seguito alla sua assunzione (1-3): in questo contesto si inserisce l’articolo di Lee e collaboratori che riportano un caso di epatite autoimmune associato al consumo di curcuma.

 

Una donna di 55 anni con pregressa tiroidite di Hashimoto si è presentata al pronto soccorso con sintomi di nausea, vomito, urine scure e ittero, che lamentava da tre settimane. La donna era in terapia orale con famotidina (20 mg/die), alluminio idrossido – magnesio idrossido – simeticone (200 mg-200 mg-20mg/5 ml di sospensione orale da assumere al bisogno) e levotiroxina (50 mg/die).

Inoltre, assumeva Qunol Liquid Turmeric, un preparato liquido a base di curcuma (15 ml/die).

All’esame fisico, la paziente mostrava ittero sclerale come unico elemento di rilievo.

Le analisi delle urine e i livelli di paracetamolo non presentavano anomalie.

Le analisi chimico-cliniche evidenziavano: bilirubina totale 11,8 mg/dL, ALP 204 U/L, ALT 2743 U/L e AST 2353 U/L.

La paziente è stata quindi ricoverata per ulteriori accertamenti che hanno escluso infezioni di tipo virale. Il titolo di anticorpi antinucleo (ANA) era 1:80, ma i valori di tutti gli altri anticorpi erano normali. I test per malattia di Wilson, carenza di alfa-1-antitripsina ed emocromatosi erano negativi. L’ecografia e la TAC addominale, la colangiopancreatografia in risonanza magnetica e l’ecodoppler non mostravano anomalie.

La diagnosi differenziale era epatite da farmaci versus epatite autoimmune.

La paziente era quindi sottoposta a biopsia epatica.

Dopo risoluzione dei sintomi, la paziente è stata dimessa con follow-up ambulatoriale.

 

Dopo una settimana, la donna è stata di nuovo visitata presso un centro per malattie epatiche.

Le analisi chimico-cliniche evidenziavano un miglioramento dei valori epatici, sebbene fossero ancora elevati: bilirubina totale 3,1 mg/dL, ALP 148 U/L, ALT 1062 U/L, AST 635 U/L.

Di contro, l’ANA risultava aumentato a 1:320.

La biopsia epatica evidenziava un’epatite alla interfaccia con un infiltrato di plasmacellule, linfociti, eosinofili e neutrofili. L’impiego del sistema di punteggio dell’International Autoimmune Hepatitis Group forniva una chiara diagnosi di epatite autoimmune.

 

Tuttavia, la paziente rifiutava il trattamento con steroidi o immunosoppressori. Pertanto, è stata effettuata un’attenta rivalutazione della terapia ed è stato stabilito di sospendere il supplemento a base di curcuma che la donna aveva iniziato ad assumere 3 mesi prima. Dopo un mese, i sintomi della paziente si sono risolti e i parametri chimico-clinici sono migliorati.

 

L’associazione tra la reazione di epatotossicità ed il preparato a base di curcuma è stata valutata dagli Autori mediante il metodo RUCAM (Roussel Uclaf Causality Assessment Method), specifico per le reazioni epatiche, e giudicata “altamente probabile” avendo ottenuto un punteggio pari a 9.

Considerando che numerosi studi clinici hanno dimostrato l’elevata tollerabilità della curcumina, il principale componente della curcuma ritenuto responsabile dell’azione farmacologica, gli autori hanno preso in considerazione altre sostanze presenti nell’integratore come potenziale causa della reazione avversa, in particolare estratto di pepe nero (Piper nigrum L.) e di luo han guo (Siraitia grosvenorii C. Jeffrey).

Non si esclude che il pepe nero possa aver contribuito all’epatotossicità osservata, in quanto è in grado di incrementare la biodisponibilità della curcumina. Per quanto riguarda, invece, luo han guo, tradizionalmente impiegato in Cina come dolcificante naturale e come rimedio per numerose patologie (e.g. tosse, asma, disturbi epatici), non sono riportati in letteratura casi di epatotossicità.

 

Inoltre, la Food and Drug Administration ha classificato tale prodotto come generalmente sicuro, sebbene studi clinici a lungo termine non siano ancora stati condotti.

Alla luce delle evidenze scientifiche, gli autori concludono che l’epatite autoimmune può imitare il danno epatico indotto da farmaci. Pertanto, è importante che gli operatori sanitari valutino in maniera approfondita la storia clinica dei pazienti considerando anche il potenziale uso di integratori alimentari a base di piante e i loro diversi ingredienti, come possibile causa di effetti avversi.

 

Commento

Recentemente, sono stati riportati numerosi casi di epatotossicità da curcuma; tuttavia, quello appena descritto è il secondo che evidenzia la possibilità di tale pianta medicinale di determinare epatite autoimmune.

In particolare, sia nel caso descritto che in quello pubblicato precedentemente da Lukefahr e collaboratori (2), la reazione avversa insorgeva in pazienti di sesso femminile con disordini autoimmuni, che sembrano incrementare il rischio di epatite immuno-mediata.

Pertanto, le caratteristiche individuali dei pazienti giocano un ruolo importante nella manifestazione della reazione avversa.

Ad esempio, la presenza di polimorfismi genetici a carico di geni coinvolti nella tolleranza immunologica, come già dimostrato per i casi di epatotossicità da Polygonum multiflorum (4), potrebbe incrementare il rischio di reazioni avverse nei soggetti che li presentano.

Va, tuttavia, sottolineato che la paziente del presente caso clinico assumeva diversi farmaci, tra cui la famotidina e la levotiroxina, per i quali sono riportati in letteratura alcuni casi di epatotossicità (5,6).

Inoltre, la presenza dell’estratto di pepe nero nel preparato a base di curcuma potrebbe aver contribuito alla reazione epatica. Infatti, la piperina in esso contenuta è in grado di inibire diversi isoenzimi del CYP450 e la glicoproteina P, modificando pertanto la farmacocinetica delle sostanze eventualmente co-somministrate con aumento della loro emivita e riduzione della loro eliminazione (7).

Diversi fattori, pertanto, potrebbero aver contribuito all’insorgenza della reazione avversa nella paziente.

Considerando l’incremento di casi di epatotossicità associati al consumo di curcuma, è importante che i medici siano consapevoli dei potenziali rischi ad essa associati e siano informati dei pazienti che assumono questo integratore alimentare, soprattutto se si tratta di soggetti a rischio come nel presente caso clinico.

 

Bibliografia

1.        Lombardi N, et al. Acute liver injury following turmeric use in Tuscany: an analysis of the Italian Phytovigilance database and systematic review of case reports. Br J Clin Pharmacol 2020; 10.1111/bcp.14460.

2.        Lukefahr AL, et al. Drug-induced autoimmune hepatitis associated with turmeric dietary supplement use. BMJ Case Rep 2018; 2018: bcr2018224611.

3.        Luber RP, et al. Turmeric Induced Liver Injury: A Report of Two Cases. Case Reports Hepatol 2019; 2019: 6741213.

4.        Rao T, et al. The hepatotoxicity of Polygonum multiflorum: The emerging role of the immune-mediated liver injury. Acta Pharmacol Sin 2020; 10.1038/s41401-020-0360-3.

5.        Gupta N, et al. Hepatitis following famotidine: a case report. Cases J 2009; 2: 89.

6.        Hlaihel AF, Al-Khairalla MZH. Levothyroxine-induced liver injury followed by complete recovery upon cessation of the drug: a case report. J Med Case Rep 2019; 13: 311.

7.        Zhou S, et al. Herbal modulation of P-glycoprotein. Drug Metab Rev 2004; 36: 57-104.

Ultimo aggiornamento: 18 settembre 2020