Vecchi e nuovi anticoagulanti: interazioni tra cibo, piante medicinali e farmaci

A cura di Annabella Vitalone; Dipartimento Fisiologia e Farmacologia “V. Erspamer”. Sapienza Università di Roma. Gruppo di Lavoro di Farmacognosia e Fitoterapia della Società Italiana di Farmacologia
 
(Tratto da Di Minno A, Frigerio B, Spadarella G, Ravani A, Sansaro D, Amato M, Kitzmiller JP, Pepi M, Tremoli E, Baldassarre D0. Old and new oral anticoagulants: Food, herbal medicines and drug interactions. Blood Rev. 2017. pii: S0268-960X(16)30035-2. doi: 10.1016/j.blre.2017.02.001).
 
Sino a poco tempo fa, gli antagonisti della vitamina K (VKAs) erano gli unici anticoagulanti orali disponibili ed il warfarin resta quello più comunemente prescritto in tutto il mondo. Le sue indicazioni includono una vasta gamma di condizioni cliniche (e.g., prevenzione dell’ictus ischemico cardioembolico, trombosi venosa profonda, embolia polmonare). Il warfarin presenta una notevole variabilità interindividuale nella risposta ed una stretta finestra terapeutica: il PT-INR (tempo di protrombina-rapporto internazionale normalizzato) deve infatti rimanere tra 2,0 e 3,0 per la maggior parte delle indicazioni. I risultati clinici, il rischio di emorragia o eventi trombotici, sono strettamente correlati al tempo in cui il paziente riesce a rimanere nel range stabilito per il PT-INR. Gli antagonisti della vitamina K sono all’apice della lista delle interazioni con cibo, piante medicinali, farmaci da prescrizione e farmaci da banco. Tali interazioni incrementano drasticamente il rischio, a seconda dei casi, di gravi emorragie o di eventi trombotici.
Gli anticoagulanti diretti (DOACs), rispetto ai VKAs, presentano un effetto anticoagulante più prevedibile e stabile (cioè meno influenzato da interazioni con alimenti, integratori a base di piante e farmaci). Il loro impiego clinico sembra più sicuro; tali farmaci sembrano pertanto in grado di sostituire il warfarin nella prevenzione dell’ictus [1]. Per l’analisi delle interazioni farmaco/farmaco di natura farmacocinetica e farmacodinamica si rimanda al lavoro originale (Di Minno et al., 2017).
 
Nell’analisi delle interazioni farmacocinetiche tra warfarin e cibo, o tra questo farmaco e le piante medicinali, va sottolineato come il problema sia quanto mai attuale, considerando che circa il 15% della popolazione usa medicine complementari/alternative (CAM) in associazione a farmaci [2]. Purtroppo, la maggior parte dei pazienti in terapia con warfarin non ricevono informazioni adeguate relativamente alle potenziali interazioni farmacologiche e raramente informano i loro medici di un uso concomitante di CAM e warfarin.
Da alcuni studi in vitro è emerso che diverse piante (Citrus bergamia, Vaccinium myrtillus, Eucalyptus globulus, Allium sativum, Lycium barbarum, Silybum marianum, Mentha piperita, ecc.) possono inibire il CYP2C9. Tuttavia, tale inibizione non sembra avere implicazioni cliniche, tanto che il consiglio più importante per i pazienti in terapia con warfarin è quello di mantenere la loro dieta abituale [3].
Le vecchie raccomandazioni per le diete a basso contenuto di vitamina K, secondo alcuni autori, dovrebbero essere considerate ormai obsolete [3].
Altre piante medicinali sono considerate inibitori del CYP3A4 (e.g. Citrus aurantium, Uncaria tomentosa, Echinacea Spp., Hydrastis canadensis, Glycyrrhiza glabra, Valeriana officinalis). Altre ancora sono invece considerate induttori di diverse forme citocromiali, tra queste: Ginseng (CYP1A2, 2C9, 2C19, 3A4), Guggul (CYP3A4), Vitis vinifera (CYP1A2), Hypericum perforatum (CYP1A2, 2C9, 3A4), ecc. Gli autori affrontano in modo descrittivo, tra le molte menzionate, solo alcune piante tra cui quelle riportate di seguito.

  • Pompelmo: i componenti della pianta e del succo, in modo particolare le furocumarine, inibiscono l’attività del CYP3A4. Tuttavia, sebbene l’interazione tra i costituenti chimici ed il warfarin debba essere tenuta in considerazione da medici e pazienti, sono stati riportati solo pochi casi di lievi ematomi o innalzamento del PT-INR [4].
  • Tè verde: sebbene al consumo di tè verde siano attribuiti numerosi effetti benefici sulla salute, tale pianta è responsabile di una marcata riduzione di PT-INR (da 3,8 a 1,4), suggerendo una significativa interazione con VKAs. Tale interazione si può verificare soprattutto se il tè verde è consumato in elevate quantità [5], poiché il suo contenuto in Vitamina K è esiguo e le sostanze che possono esercitare effetti apprezzabili sul PT-INR (i.e., catechine e flavonoidi) non sono altrimenti presenti in concentrazioni sufficienti ad esplicare tale effetto.
  • Iperico (Hypericum perforatum): pianta spesso utilizzata nel trattamento della depressione, dei problemi del sonno, ansia e dolore. Induce diverse isoforme citocromiali, tra cui: CYP1A2, 2C9 e 3A4. Ciò determina una riduzione della concentrazione plasmatica ed un incremento nella clearance dell’enantiomero S (+29%, via CYP2C9) e R (+23%, via CYP3A4/CYP1A2) del warfarin, con una riduzione significativa degli effetti farmacologici dello stesso.
  • Ginkgo biloba: un suo consumo può incrementare il rischio di sanguinamento in pazienti sottoposti ad interventi chirurgici. Studi in vitro hanno evidenziato che alcuni flavonoli agliconi (e.g., amentoflavone) del ginkgo sono potenti inibitori del CYP2C9.
  • Cranberry (Vaccinium myrtillus): alcune segnalazioni riportano un incremento del PT-INR e dell’incidenza di emorragie attribuite alla co-somministrazione di warfarin e succo di mirtillo (spesso utilizzato nelle infezioni urinarie; si rimanda alla sezione “commento” per approfondimenti) [6,7]. Il succo di mirtillo contiene irrisorie quantità di vitamina K e sebbene studi farmacologici in vitro e in vivo e studi clinici indichino che il succo di mirtillo altera l’attività del CYP2C9 e del 3A4, un moderato consumo (240–280 mL/die) giornaliero di succo di mirtillo sembra avere uno scarso impatto sul PT-INR.

Nell’analisi delle interazioni farmacodinamiche tra cibo, integratori alimentari su base vegetale e warfarin è emerso che i vegetali a foglia verde ed alcuni oli vegetali contengono quantità significative di vitamina K ed un loro consumo eccessivo può determinare una diminuzione del PT-INR. Al contrario, un ridotto consumo o assorbimento e un aumento dell’eliminazione della vitamina K può causare drastici aumenti di PT-INR ed eccessiva anticoagulazione [8].

  • Ginkgo biloba: i ginkgolidi, principali componenti di questa pianta, hanno proprietà antinfiammatorie ed anti-piastriniche. In un paziente, trattato cronicamente con warfarin e con valori di PT-INR stabili, è stata riportata emorragia intracranica, a seguito di due mesi di assunzione concomitante a ginkgo [9]. Tuttavia, risultati provenienti da altri studi clinici indipendenti hanno riportato che estratti di ginkgo standardizzati (240 mg/die per 1 settimana o 100 mg/die per 4 settimane) non alterano la farmacodinamica del warfarin [10]. Nonostante ciò, è comunque raccomandato effettuare un monitoraggio di routine nei pazienti che assumono ginkgo in associazione a warfarin.
  • Ginseng: i principali componenti di questa pianta sono i ginsenosidi, i quali inibiscono il CYP1A2, l’aggregazione piastrinica e la formazione del trombossano. Alcuni riscontri clinici suggeriscono che il ginseng potrebbe aumentare l’effetto anticoagulante del warfarin in modo marginale, ma tali dati sono contrastanti [11].

Relativamente alle interazioni farmacocinetiche o farmacodinamiche tra DOACs e cibo e/o piante medicinali non ci sono evidenze disponibili, sebbene, in teoria, queste possano verificarsi per inibizione/induzione del CYP3A4. Ci si aspetta, ad esempio, che l’iperico come potente induttore enzimatico possa diminuire la concentrazione plasmatica di dabigatran (substrato della P-gp), del rivaroxaban o dell’apixaban (substrati della P-gp e del CYP3A4). Con l’iperico tali associazioni andrebbero pertanto effettuate con cautela (nel caso del dabigatran) o evitate (per rivaroxaban e apixaban) [12]. Esistono molte altre piante medicinali e alimenti che possono interferire modulando l’attività della P-gp (e.g., Ginkgo biloba, pepe nero, soja, liquirizia, tè verde), ma come questi possano interagire con i DOACs non è ancora noto.

Commento

Il presente studio analizza le interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche tra cibo, piante medicinali e farmaci somministrati contemporaneamente a VKA (warfarin, in particolare) o DOACs. Tali interazioni possono influenzare l’efficacia e la sicurezza della terapia anticoagulante. Quando i problemi emorragici si verificano a seguito di interazioni con i VKA, esse sono gravi e talvolta fatali, a differenza di quelle che si verificano con i DOACs che però sono state anche meno studiate.
I fattori che possono interferire con la risposta al warfarin sono diversi, tra questi: l’assunzione di vitamina K, l’assunzione di altri farmaci tra cui gli antibiotici ad ampio spettro ed i polimorfismi genetici. Le interazioni farmacodinamiche clinicamente più rilevanti sono quelle tra warfarin e farmaci. Ogni medicinale che altera la capacità funzionale delle piastrine (ad esempio, acido acetilsalicilico, clopidogrel, FANS) e viene somministrato contemporaneamente al warfarin può aumentare il rischio di sanguinamento. Aspirina e FANS si comportano in questo modo [13]. Altri farmaci che possono interferire col warfarin sono gli antibiotici ad ampio spettro (interazione clinicamente rilevante in pazienti malnutriti). Questi alterano la normale flora microbica intestinale, riducendo la capacità fisiologica dell’organismo di sintetizzare la vitamina K. I polimorfismi genetici, infine, possono determinare un’importante perdita della capacità enzimatica (e.g., riduzione dell’espressione funzionale del CYP2C9, dovuta a polimorfismo della variante 2C9*3) con diminuzione della clearance del warfarin ed aumento dell’effetto anticoagulante [14].
 
Nella presente recensione, nell’ambito della sezione “Safety della Medicina Complementare e Alternativa”, è stata volutamente trattata solo la parte relativa alle interazioni potenziali tra piante medicinali/alimenti e VKAs o DOACs. Per una descrizione più dettagliata si rimanda all’articolo originale (Di Minno et al., 2017).
Ciò che emerge è che non esistono prove convincenti ad indicare che le piante medicinali, alimenti o sostanze nutritive (ad eccezione della vitamina K) interagiscano in modo significativo con il warfarin attraverso la modulazione dell’attività dei CYP. In particolare, l’inibizione del CYP2C9 (riscontrata in vitro ed esercitata da alcune piante medicinali) può divenire clinicamente rilevante, se l’inibitore riesce a raggiungere il fegato in concentrazioni sufficienti ad inibire l’enzima in vivo. Le interazioni farmacologiche a livello dei CYP2C9, CYP1A2 e CYP3A4 sono di solito ritardate e, a seconda dell’agente interagente, richiedono giorni-settimane di trattamento per rendersi evidenti [15]. Allo stesso modo, può essere necessario un periodo di washout di diverse settimane prima della normalizzazione degli enzimi epatici.
Come spesso accade non è possibile l’estrapolazione tout court dei dati preclinici alla pratica clinica e, sebbene i primi offrano speculazioni utili, non è facile prevedere le interazioni che possono verificarsi clinicamente. Ciò è principalmente dovuto non solo alla qualità metodologica degli studi (numerosità del campione analizzato, randomizzazione, durata dello studio, ecc.), ma alla base razionale del disegno sperimentale che è spesso troppo superficiale. Nello specifico, in molti casi non si sa nemmeno di quale pianta (o suo preparato estrattivo) si stiano analizzando gli effetti! Questo deriva dall’uso di una generica denominazione inglese, piuttosto che quella binomiale latina (che consentirebbe un’univoca identificazione). Di Minno e collaboratori (2017) fanno ad esempio riferimento al “cranberry (Vaccinium myrtillus)”, quale inibitore del CYP2C9. Il cranberry, utilizzato nella profilassi delle infezioni delle vie urinarie, è il Vaccinium macrocarpon (o mirtillo rosso americano), da non confondersi con Vaccinium vitis-idaea (ligonberry o mirtillo rosso), né tantomeno con Vaccinium myrtillus (bilberry o mirtillo nero) a cui fa riferimento l’autore che, oltre ad avere una composizione quali-quantitativa diversa, ha indicazioni d’uso diverse. Tale difficoltà di interpretazione identificativa si verifica anche in altri studi [16].
Altra problematica è quella relativa alla standardizzazione dei preparati vegetali, indispensabile nell’ottica di un’analisi di sicurezza ed efficacia di una pianta medicinale e/o di un confronto tra studi diversi su una stessa pianta (o suo preparato estrattivo). In questo studio, ad esempio, l’autore non riporta il tipo di standardizzazione del ginkgo bensì la sua posologia; per effettuare controlli e confronti bisogna fare riferimento agli articoli originari [9,10] in cui emerge che (nell’articolo in cui non sono state riscontrate interazioni, né farmacodinamiche né farmacocinetiche, con il warfarin) ogni tavoletta conteneva 2 g di Ginkgo biloba foglia, standardizzata in 9,6 mg di flavonglicosidi, 2,4 mg di ginkgolidi e bilobalide. I pazienti (12 soggetti sani, randomizzati in uno studio three-way crossover con washout di 14 giorni, che prevedeva anche l’assunzione di ginger!) assumevano 2 tavolette, 3 volte al dì, per una settimana. Nell’articolo in cui invece un’interazione era stata ipotizzata, non viene fatto alcun riferimento alla tipologia di prodotto ed al relativo dosaggio assunto! Ciò dimostra la difficoltà interpretativa di numerosi studi sulle piante medicinali, in cui si fa riferimento a calcoli che non sempre tornano.., studi condotti su un esiguo numero di pazienti, trattati per periodi limitati di tempo, con preparati vegetali senza alcuna caratterizzazione chimica e conseguente impossibilità di confronto con altri studi! Nell’ottica di potere dare consigli utili ai pazienti in politerapia è necessario migliorare la qualità degli studi del settore erboristico, facendo magari riferimento a Linee Guida essenziali e basilari che la SIF ha pubblicato ormai diversi anni fa [17].

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Ultimo aggiornamento: 06 settembre 2017