Danno epatico acuto in un paziente trattato con rosuvastatina

A cura di Veronica Crucitti, Specializzanda in Farmacia Ospedaliera, Università di Messina

 

Il danno epatico indotto da farmaci (drug-induced liver injury, DILI) ha una bassa incidenza nella popolazione (annualmente, circa 10-15 casi su 10.000 – 100.000 persone che hanno assunto farmaci da prescrizione). Negli USA, il DILI rimane la causa più frequente di danno epatico acuto (1).

La rosuvastatina è abitualmente utilizzata per ridurre i livelli sierici del colesterolo. Quando viene prescritta a dosi più elevate, può essere usata nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari aterosclerotiche per ridurre il rischio di eventi coronarici ed ictus.

Circa l’1-3% dei soggetti che assumono rosuvastatina sviluppa un lieve aumento dei livelli sierici di aminotransferasi, asintomatico e in genere auto-limitante (2). Raramente i pazienti trattati con rosuvastatina possono sviluppare un danno epatico acuto clinicamente evidente (<1 paziente su 10.000).

In letteratura è stato descritto il caso di un uomo che ha sviluppato un danno epatico acuto dopo avere assunto rosuvastatina per il trattamento dell’ipercolesterolemia (1).

 

Caso clinico (1)

Un uomo peruviano di 47 anni, in buona salute, venne trasferito da un ospedale, presso il quale si era recato, ad un centro di trapianti di fegato.

Sei settimane prima, su indicazione del suo medico, il paziente aveva iniziato ad assumere rosuvastatina (5 mg/die) per trattare uno stato di ipercolesterolemia.

Prima di iniziare il trattamento, i livelli dei test di funzionalità epatica erano i seguenti: aspartato aminotransferasi (AST) 17 U/L (range normale, RN, 10-40 U/L); alanina aminotransferasi (ALT) 19 U/L (RN 10-40 U/L).

A seguito di un notevole incremento dei livelli delle aminotransferasi successivo all’inizio  del trattamento con rosuvastatina, al paziente venne consigliato di recarsi al pronto soccorso.

Il paziente venne ricoverato e la terapia con rosuvastatina fu interrotta. Tuttavia, i livelli dei test di funzionalità epatica continuarono ad aumentare: AST 1.142 U/L; ALT 2.260 U/L; bilirubina totale 3,53 mg/dL (RN 0,2-1,2 mg/dL); fosfatasi alcalina (ALP) 277 U/L (RN 40-115 U/L) e INR 1,1 (RN 0,8-1,2).

Il paziente venne sottoposto ad una biopsia epatica e quindi trasferito in un centro trapianti, con una diagnosi di danno epatico acuto che si sospettava che fosse stato indotto dall’assunzione di rosuvastatina.

Sottoposto ad ulteriori domande, il paziente segnalò di avere avuto colorazione gialla della pelle, lieve prurito ed affaticamento. Inoltre dichiarò di non fumare, di non consumare abitualmente alcolici (riferendo di bere occasionalmente una lattina di birra nel weekend), di non avere assunto altri medicinali, ad eccezione della rosuvastatina, come pure integratori, prodotti erboristici e prodotti dimagranti, di non avere alcun tipo di allergia a farmaci, di non fare uso di droghe per uso endovenoso, di non avere tatuaggi o piercing, di non avere ricevuto trasfusioni di sangue, di non praticare forme di promiscuità sessuale, di non avere avuto infezioni a trasmissione sessuale, eruzioni cutanee, esposizioni professionali a tossine, precedenti patologie epatiche o epatiti virali, e di non avere una storia familiare di patologie epatiche.

Il paziente non presentava febbre ed era emodinamicamente stabile. L’esame fisico mostrò sclera itterica, stato di ittero generalizzato, lieve tensione nel quadrante superiore destro dell’addome e margine epatico palpabile.

All’arrivo al centro trapianti, i test di funzionalità epatica mostrarono i seguenti valori: AST 1.400 U/L, ALT 2.253 U/L, bilirubina totale 9,9 mg/dL. I livelli sierici di elettroliti e l’emocromo completo erano nei limiti della norma.

 

Per valutare se il danno epatico potesse essere attribuito all’uso della rosuvastatina, venne utilizzata la scala RUCAM (Roussel Uclaf Causality Assessment Method), nota anche come scala CIOMS (Council for International Organizations of Medical Sciences), che è uno strumento comunemente utilizzato per valutare quantitativamente la relazione di causalità nei casi di sospetto DILI.

Il punteggio RUCAM risultò pari a 9, indicando un’elevata probabilità che il danno epatico fosse stato causato da una reazione avversa conseguente all’utilizzo del farmaco.

Venne quindi iniziato il trattamento con N-acetilcisteina per via endovenosa.  

 

Tutti gli altri esami effettuati (anticorpi anti-muscolo liscio, anticorpi anti- nucleo, anticorpi antimicrosomi epato-renali; IgG e la ricerca di virus epatotropi) risultarono negativi.

 

La biopsia epatica mostrò, però, segni istologici di epatite autoimmune con un infiltrato infiammatorio, portale e lobulare, di tipo misto, con neutrofili, linfociti, plasmacellule ed eosinofili sparsi, oltre a danno a livello dei dotti biliari e attività di interfaccia.

Il profilo istopatologico era coerente con una probabile reazione da farmaci immuno-mediata. Anche a livello bioptico gli esami per la ricerca del virus Herpes simplex, del Cytomegalovirus e del virus di Epstein Barr diedero esito negativo.

I livelli degli enzimi epatici del paziente non migliorarono, nonostante la somministrazione endovenosa di N-acetilcisteina per 5 giorni e il trattamento con acido ursodesossicolico. La TAC all’addome, eseguita per valutare la necessità di un trapianto epatico, mostrò una buona anatomia vascolare epatica.

Durante il ricovero in ospedale, il paziente rimase emodinamicamente e neurologicamente stabile, senza evidenza di encefalopatia epatica. I livelli dei test di funzionalità epatica iniziarono a mostrare un certo miglioramento (AST 942 U/L, ALT 1.312 U/L, ALP 167 U/L), mentre la bilirubina totale era ulteriormente aumentata a 17,2 mg/dL.

Il paziente fu dimesso, ma poichè i successivi esami del sangue rivelarono una bilirubina totale ulteriormente aumentata, fu ricoverato nuovamente e sottoposto ad un ciclo di metilprednisone per via endovenosa, dopodichè i valori di bilirubina totale iniziarono a ridursi.

In seguito, i livelli degli enzimi epatici continuarono a migliorare ed il paziente fu dimesso e mandato a casa in condizioni migliorate e stabili.

 

IL DILI può essere classificato come intrinseco e dose-dipendente oppure idiosincrasico e dose-indipendente, come in genere nel caso della terapia con rosuvastatina (3,4). Tuttavia,  il danno epatico da rosuvastatina ha un’eziologia non chiara.

In minima parte (circa il 10%) la rosuvastatina viene metabolizzata a livello epatico attraverso l’isoenzima CYP2C9 (5,6). I lievi aumenti transitori delle aminotransferasi potrebbero essere correlati alla formazione di un metabolita intermedio tossico.

Il più raro danno epatico acuto, clinicamente evidente, è frequentemente accompagnato da caratteristiche autoimmuni e quindi potrebbe essere dovuto a meccanismi immunitari (5,6).

 

Bibliografia

1.      Shah J, et al. Acute liver injury in a patient treated with rosuvastatin: a rare adverse effect. Gastroenterology Res 2019; 12: 263-266.

2.      Shepherd J et al. Safety of rosuvastatin. Am J Cardiol 2004; 94: 882-888.

3.      Gunawan BK, Kaplowitz N. Mechanisms of drug-induced liver disease. Clin Liver Dis 2007; 11: 459-475.

4.      Bjornsson E, et al. Hepatotoxicity associated with statins: reports of idiosyncratic liver injury post-marketing. J Hepatol 2012; 56: 374-380.

5.      Wolters LM, Van Buuren HR. Rosuvastatin-associated hepatitis with autoimmune features. Eur J Gastroenterol Hepatol 2005; 17: 589-590.

6.      Sanchez M, et al. Autoimmune hepatitis (immune-mediated liver injury) induced by rosuvastatin. Gastroenterol Hepatol 2018; 41: 311-313.

 

Link

Rosuvastatina

Ultimo aggiornamento: 20 luglio 2020